COME AFFRONTARE L’INCERTEZZA

Quando in questo periodo chiedo alle persone con cui sono in contatto “come ti senti?” Mi rendo conto che le loro risposte, articolate o meno, hanno tutte un denominatore comune: un forte bisogno di certezza.

 

In fondo l’essere umano ricerca la sicurezza per tutta la vita: con i propri genitori, in un rapporto di coppia, sul lavoro, a livello finanziario, ed è normale che sia così, è una questione di sopravvivenza.

 

Questo bisogno così forte ci spinge per tutta la vita a pre-occuparci di ciò che accadrà in futuro, per cercare di prevedere gli eventi, per non farsi sorprendere dagli imprevisti, per anticipare le nostre decisioni.

Eppure razionalmente sappiamo che non ci sono certezze assolute, che qualcosa può sfuggire al nostro controllo.

 

Questo periodo ce l’ha dimostrato: un microscopico nemico invisibile ha fatto crollare gran parte delle nostre certezze, ci ha destabilizzato, ha drasticamente ridimensionato il nostro senso di invincibilità, ci ha tolto la fiducia nella nostra capacità di tenere tutto sotto controllo portandoci a fare i conti con la realtà: la vita è per natura incerta.

 

Da cosa nasce questo profondo bisogno di sicurezza?

Come dicevo prima: è una questione di sopravvivenza.

Se non ci sentiamo sicuri, ci sentiamo in pericolo e il pericolo fa scattare quel meccanismo automatico che è conosciuto grazie alle neuroscienze con il nome di “fight or flight”, “combatti o fuggi”, che determina precise reazioni fisiologiche come, ad esempio, battito cardiaco accelerato, il flusso del sangue verso le estremità del corpo, aumento del ritmo respiratorio, maggior rilascio di adrenalina: tutte funzioni necessarie ad affrontare il pericolo o a fuggire da esso per mettersi in salvo.

Questa reazione che il nostro cervello mette in atto per salvarci la vita aveva senso per l’uomo primitivo, quando per cacciare e procacciarsi il cibo veniva in contatto con belve feroci, ma ha senso anche per noi quando, per esempio, in un attimo di distrazione attraversiamo la strada con il semaforo rosso e il meccanismo del “fight or flight” ci fa fare un balzo indietro in maniera immediata e automatica. Il problema è che la vita moderna ci sottopone, anche se spesso non ce ne rendiamo pienamente conto, a stress di ogni tipo con il risultato di tenere questo meccanismo di difesa sempre attivo con effetti deleteri sul nostro benessere psicofisico (aumento del cortisolo, della glicemia, della pressione, insonnia e altri disturbi correlati ad un tipo di stress prolungato).

 

Ecco che in una situazione come quella che stiamo vivendo ora in cui siamo in perenne stato di allerta e in cui è venuto a mancare uno dei bisogni fondamentali dell’uomo, la certezza, le persone possono reagire in modi diversi, ma tutti collegati alla sopravvivenza.

 

Ci sono 4 tipologie di risposta:

 

1. Lasciarsi prendere dal panico. Nella maggior parte dei casi è la reazione di quelle persone che non si informano, non studiano, non approfondiscono, quindi dovuta alla mancanza di informazioni adeguate e alla mancanza di consapevolezza di sé. Questa reazione spesso porta alla perdita, a volte totale, di controllo o a mettere in atto azioni antisociali, alcune delle quali sono state sotto gli occhi di tutti quando i supermercati sono stati letteralmente presi d’assalto o comunque azioni irrazionali come decisioni avventate a livello finanziario o a livello manageriale.

 

2. Tuttavia, il panico può essere la reazione anche di chi, invece, si informa troppo e anche qui è utile fare una distinzione. Infatti, c’è una categoria di persone che si aggrappa saldamente alle informazioni istituzionali perché, come scriveva Bertrand Russel, “ciò che gli uomini vogliono realmente non è la conoscenza ma la certezza”, e un’altra categoria che incorpora informazioni in modo acritico senza distinguere le fonti accreditate da quelle palesemente false. Comunque in entrambi i casi questa ricerca “ossessiva” di informazioni ha proprio lo scopo di ridurre il senso di incertezza.

I pericoli di questo atteggiamento di ricerca acritica sono due: da un lato la semplificazione e in un certo senso la strumentalizzazione della conoscenza, si cercano infatti quelle informazioni che ci sembrano soddisfare le nostre aspettative e di quelle ci si accontenta perché appagano il nostro bisogno di certezza; dall’altro a seconda delle informazioni di cui decidi di fidarti si creano o si consolidano le tue convinzioni che potrebbero essere molto lontane dalla realtà.

 

3. E poi c’è chi rimane calmo. Rimanere troppo calmi, a volte, può essere sinonimo di inconsapevolezza, la causa è sempre la mancanza di informazioni adeguate e quindi, in questo caso, la calma è dovuta al sottovalutare la situazione e al pensare che ciò che accade sia lontano dalla propria realtà e che non avrà in alcun modo delle ricadute sulla propria vita. Hai presente le persone che ti dicono: “ma si, cosa vuoi che sia, passerà tutto, faccio quello che ho sempre fatto.”

Anche questa poca consapevolezza è rischiosa, sia perché porta a una sottovalutazione dei rischi e degli effetti del proprio comportamento, sia perché la propria sicurezza è solo apparente, come un castello di carte pronto a cadere non appena succeda qualcosa che ti tocchi da vicino.

 

4. La calma come reazione consapevole e funzionale. Infine, c’è la calma come reazione consapevole di chi è attento non solo ai segnali esterni ma anche a quelli interni.

Questa, come potrete intuire, è tra le 4 la reazione più funzionale. Mi riferisco a quelle persone che ascoltano tutte le informazioni ma non si limitano a incorporarle così come sono: le approfondiscono, le mettono in relazione tra di loro, ne colgono le contraddizioni, ne parlano con persone competenti e le rielaborano usando un pensiero critico. E questo per quanto riguarda i segnali esterni. Per quanto riguarda i segnali interni faccio riferimento a quelle persone che, oltre a concentrarsi su quello che succede fuori, attraverso un lavoro di sana introspezione, ascoltano anche quello che succede dentro di loro.

A che livello di allerta mi trovo? Quanto questa incertezza sta influenzando il mio modo di pensare e le mie decisioni? Cosa sto facendo per farvi fronte?

 

Dunque la calma come reazione consapevole è la risposta adeguata a questo momento di incertezza e le domande che dobbiamo porci per andare in questa direzione sono queste:

  • Sto nutrendo la mia mente?

Leggiamo ovunque delle imprese culinarie in cui la maggior parte degli italiani si sta cimentando in questo periodo: niente in contrario, anzi, fa parte della nostra cultura e stimola anche la creatività, ma tutta questa attenzione che abbiamo nel nutrire il nostro corpo, dovremmo averla anche nel nutrire la nostra mente. E quando dico nutrire non intendo sfamare, faccio riferimento al potere nutritivo delle informazioni utili allo sviluppo e alla crescita della mia mente:

buone letture, buona musica, programmi edificanti, tutto ciò che può arricchirci dal punto di vista culturale e personale.

  • Sto facendo il meglio possibile con ciò che ho a disposizione?

Sto facendo quella ricerca critica di cui sopra per prendere decisioni migliori in base alle informazioni che ho selezionato?

Infatti una delle strategie migliori per far fronte all’incertezza è la consapevolezza che possiamo incidere solo su ciò di cui abbiamo il controllo.

E su cosa abbiamo il controllo? Forse sugli eventi che ci capitano?

La risposta è no e questo virus ce ne ha dato dimostrazione.

Quello che puoi controllare è come reagisci agli eventi che ti capitano, quindi la prossima domanda è:

  • Su cosa ti stai focalizzando di preciso? Su quello che non funziona, che manca e non va oppure sulle possibilità, le opzioni che hai a disposizione in questo momento e su come trovare una migliore soluzione per te?

 

Stai pianificando i tuoi prossimi passi?

Questo scenario, sembra paradossale dirlo, può fornire una grande libertà di pianificazione: possiamo prevedere molti scenari e per ognuno iniziare a pensare gli interventi possibili.

 

La verità è che la certezza assoluta non esiste e, se non l’abbiamo fatto finora, dobbiamo imparare a convivere con questa realtà di fatto, ad accettare che qualcosa sfugga al nostro controllo, ma non con rassegnazione, bensì con fiducia nella nostra capacità di affrontare qualunque sfida la vita ci proponga.

 

Infine, mi permetto un’ultima domanda: come sarebbe la nostra vita se fosse tutto già predefinito, certo, garantito? Non ci farebbe sentire più annoiati?

Certo che sì, perché tra i bisogni fondamentali dell’essere umano oltre alla certezze c’è il bisogno di varietà. Come ci spiegano anche la psicologia e le neuroscienze l’essere umano ha bisogno della varietà e questa è l’area che ci fa crescere più di ogni altra nella nostra vita.

 

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Con affetto – Giovanni

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